Lorenza Carboni

LORENZA CARBONI

Risale al 1987 l?incontro occasionale/provvidenziale tra padre Benedetto Calati, Adriana Zarri e Lorenza Carboni in cui furono gettate le basi di una collaborazione e di una intesa che avrebbe portato alla costituzione dell?Associazione Itinerari e Incontri con la presenza di un gruppo di laici disposto a confrontarsi e ad attingere al patrimonio culturale e spirituale della comunità benedettina.

Itinerari e Incontri si colloca in quella terra di frontiera che tocca il terreno sociale, religioso e politico senza che con essi si identifichi. Frontiera, forse soprattutto tra le varie culture o per meglio definirle ?ispirazioni culturali? che animano questo tempo di riflessione critica e di improvvise svolte.

Quello che l?Associazione ha promosso nel corso di questi lunghi anni può essere definito una ?esperienza antica?, ma non per questo meno attuale, anzi vitale, unica e necessaria. Se si scorre l?elenco delle personalità intellettuali che hanno messo a disposizione il loro patrimonio di ricerca e di pensiero religioso e non, si ritrova la parte più interessante e vivace della cultura italiana.

A Montegiove con Lorenza Carboni, nell’eremo dell’ascolto                                                         (Dal Manifesto del 27-12-2003 Rossana Rossanda)

Si è spenta ieri, dopo tre mesi di una malattia che non le ha lasciato tregua, Lorenza Carboni.

Lorenza, come dire Montegiove per i molti che in oltre 10 anni la sua voce gentile ha chiamato a confrontarsi nel settecenteco e ormai quasi deserto eremo dei Camaldolesi che sovrasta l’Adriatico a Fano. Era lei che tenacemente ha tenuto in piedi l’esile struttura che si chiama “Itinerari e Incontri”. Itinerari perchè studiava non dogmi , ma percorsi, e incontri perchè si trattava di parlarsi e ascoltarsi fra religiosi- cattolici, protestanti, ebrei, recentemente anche musulmani- e non  credenti, interrogati dalle stesse grandi domande di senso che ogni epoca storica rideclina. Lorenza era marchigiana, una bellissima piccola donna che appena andata sposa a Giovanni Pelosi, anche lui insegnante, aveva incontrato nel bergamasco i nostri compagni della Dalmine. Cattolica nel profondo, con loro aveva vissuto, dopo le speranze e qualche delusione del Concilio Vaticano Secondo, la protesta sociale, mai disgiunta nella testa di Lorenzae Giovanni dalle grandi domande cristiane. Poi erano tornati ambedue nella terra d’origine a insegnare;  avevano- Giovanni ha ancora- quel dono particolare di far sentire ai ragazzi che la scuola vale la pena, anche se pare sia diventata un’impresa sempre più difficile. Ma per Lorenza non c’era soltanto la scuola, c’era Montegiove e c’era una pratica ecologica condivisa con i suoi bambini e quelli di un villaggio dell’Africa occidentale a causa delle rondini, da aspettare e veder partire con il naso in su di tutta la classe e difendere da molteplici minacce, incluse quelle della fame.                                                 Aveva studiato, Lorenza, con Italo Mancini e da lui aveva preso la predilezione per Bonhoeffer, che distribuiva agli amici.

Ne era venuto quell’essere a Montegiove una specie di zona franca, dove ci si trovava tre volte l’anno intorno all’interpretazione di un testo (il Libro di Giobbe, il Cantico, il Siracide) un tema sapienziale, di quelli ben prediletti da Benedetto Calati (terra ed esilio, legge, coscienza e libertà, errore colpa peccato) o un tema dell’attualità ( la gratuità, o dopo il 1989). Nessuno di coloro che erano invitati mancava di venire una volta o l’altra–tanto rari sono i luoghi nei quali ci si parla senz’altra intenzione  che ascoltarsi e discutere, condividendo i paesaggi di mattone rosato delle Marche, i sentieri del boschetto, perfino gli orari imperativi e il refettorio comune. Molto gaio perchè Lorenza non aveva nulla di spartano nel badare all’ospitalità e, come i relatori, anche i sovrintendenti alla cucina erano volontari di quella bizzarra razza romagnola che fa manicaretti anche con il niente e discutendo magari di Roland Barthes.

Era Lorenza che ci aspettava al treno sorridendo con una cortesia che poteva sembrare timidezza- grave errore, perchè era rimasta una ragazza allegra, piena di vitalità e curisità, ostinata e per niente arrendevole. Come a Benedetto Calati che patrocinò e frequentò Monegiove finchè visse, le apparteneva un’ironia e il senso della risata, come in questa fotografia che li ritrae  assieme all’eremo dopo che manifestamente egli ha infilzato con benevolenza qualcuno. Montegiove deve sopravvivere, ma sarà un’altra cosa. Perchè ci sono persone che danno la loro impronta ai luoghi ed era lei a dargli quel sorriso e quello sguardo acuto e insaziato del quale non so come faremo a meno.

Lorenza Carboni e padre Benedetto Calati all’Eremo di Montegiove

Ragazza all’antica di Mara Chiaretti

A Montegiove mi ha portato Rossana molti anni fa. Sapeva che portavo con me un inguaribile dolore e voleva medicarlo.                                                                                                                    Nel pudore silenzioso che le è proprio sollecitava un incontro tra me e Padre Benedetto, a cui lei si rivolgeva con la fiducia che nutre le grandi amicizie. Tutto quello che ho conquistato e capito attraverso questi anni lo devo certo alle sue parole luminose e penetranti, la cui ulteriore forza derivava da quella rara specialità che era il suo sorriso. I suoi occhi erano naturalmente predisposti al sorriso, sembravano precedere le labbra di qualche secondo. Benedetto sorrideva, sempre, anche un minuto dopo essere corrucciato, o dopo le sue coraggiose, infuocate invettive. Sorrideva, come pochi sanno fare, di sè.                                                                                               Ma se di Benedetto spero mi accompagni  nel tempo, il sorriso, di Lorenza voglio sempre tenere stretta come un talismano la sua meravigliosa risata. La risata aperta, gioiosa e piena di stupore di una ragazza assieme alla quale, proprio nella quieta austerità di quest’eremo, ho molto riso.         Lorenza rideva forte e diventava tutta rossa in viso con quella libertà spudorata e pudica allo stesso tempo di una ragazza all’antica. Di questo parlava il suo modo di vestire, un modo felicemente casto e fuori del tempo, dotato di una grazia infantile, da ragazza delle medie che mette il naso fuori di casa per la prima volta.                                                                                        Le sue camicette candide a maniche corte, di stoffe leggere, a volte con delicati motivi di fiori, con colletti piccoli quasi sempre molto accostati al collo, chiuse da bottoncini da bimba, le sue gonne da collegiale a pieghe, di colori pastello, le scarpe bianche senza tacco, traforate o allacciate, mai i pantaloni perchè appunto si vedessero senza vistosità le su belle gambe di donna dalla pelle trasparente, tutto così sempre pulito e stirato e consono alla franchezza della sua eleganza incorporea.                                                                                                                                                 Si poteva farla ridere forte, Lorenza, qui a Montegiove, commentando i lati più deboli, meno ufficiali degli oratori, il loro risvolto “troppo umano” una volta usciti dalla im,pegnativa concentrazione delle conferenze. Rideva e sbalordiva delle mie battute, da cittadina smaliziata, su Rossana che, seminuda nella celletta, spiaccicava scorpioni con i fascicoli sulla teologia della liberazione o sugli sguardi teneri di Vattimo per i giovani attenti discepoli, così come dei miei sarcasmi sfacciati sull’evidente, scandaloso per me, maschilismo che improntava le scelte degli organizzatori.                                                                                                                                         “Sei forte un bel po’”, come a segnalare l’esplosione di una malizia a cui acconsentiva liberamente e felicemente senza esserne capace. Era la sua coraggiosa allegria.

Gli incontri di Montegiove, alla cui costruzione Lorenza ha dedicato tanto della sua vitalità e del suo buonumore, saranno ancora più speciali se sapranno far rivivere in spirito, dentro i pensieri più profondi, il suono della risata della ragazza all’antica.                                                                     E siccome, tra noi suoi amici, ci sono credenti e non credenti, far rivivere quel suono porterà diversa felicità: per chi crede che lei ci veda la porterà anche a lei, per chi dubita farà felici noi.